«Siamo un Paese incredibile. Con tutti i problemi che abbiamo Salvini trova il tempo di chattare sui miei cambi? Io non parlo di politica perché non ne capisco nulla, ma…». Nell’espressione desolata, incredula e feroce con cui Gennaro Gattuso, allenatore del Milan, ha risposto alle critiche del vicepremier sulle sue scelte in campo nella partita, giocata domenica 25 novembre, del Milan contro la Lazio – finita con un pareggio – c’è tutto lo stile che gli ha meritato il soprannome di Ringhio: umiltà, intelligenza, grinta. Quando l’Italia uscì dai Mondiali nel 2010, la sua ultima partita in Nazionale, disse: «Quando abbiamo vinto il Mondiale ci hanno fatto cavalieri del lavoro, ora ci faranno cavalieri della vergogna… Era la mia ultima partita e più brutta di questa non la potevo immaginare ma ora cala il sipario e si va avanti». Umiltà. Grinta. Intelligenza. Cala il sipario e si va avanti. Gattuso lo ha sempre fatto: dare tutto, vincere, perdere, ricominciare.

Alle Invasioni me lo ricordo come la più bella intervista a un calciatore, a pari merito con quella a Buffon, altro grande campione e grand’uomo. Ma Rino Gattuso è speciale perché è un gladiatore.
Un emigrante che ha fatto molta fatica e ha mantenuto dignità e cuore. Gennaro Ivan è nato a Corigliano Calabro il 9 gennaio 1978: le biografie narrano che da piccolo ricevette come regalo di Natale un pallone e una divisa che divenne la sua seconda pelle. Il campo da gioco era la spiaggia calabra. Giocare a calcio il suo daimon, la sua vocazione, il suo destino.

A dodici anni venne scelto dal Perugia, lasciò una mamma molto amata e iniziò la sua vita di fatiche rinunce vittorie e sconfitte che lo ha portato a essere Ringhio. Da Perugia accettò di trasferirsi nella gelida e lontana Scozia dove i Rangers gli avevano offerto un contratto quadriennale. I primi mesi furono durissimi ma Rino non mollò e in Scozia la sua stella cominciò a brillare. Dall’Italia lo notarono in molti, lui voleva tornare: scelse la Salernitana. E poi arrivò il Milan Campione d’Italia e la sua apoteosi da calciatore e anche da uomo, spesso capitano, per quel carattere generoso e coraggioso che ha.

Il bambino calabrese nella sua carriera ha vinto tutto: Campione d’Italia, Campione d’Europa e Campione del Mondo ma non poteva che finire allenatore perché è un uomo che ha bisogno di combattere e di dare, ed è un leader nato. Ha allenato il Palermo, poi il Pisa, e ora il Milan. Tutte sfide difficili, niente di regalato. Si fa fatica, si vince e si perde anche in politica, ma farlo con lo stile di un Ringhio non credo sia riuscito a molti.

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