Il tumore alla prostata è uno dei più diffusi nella popolazione maschile e rappresenta circa il 20% di tutti i tumori diagnosticati nell’uomo. Le stime, relative al 2017, parlano di 34.800 nuovi casi all’anno in Italia, ma il rischio che la malattia abbia un esito infausto è basso, soprattutto se si interviene in tempo. Lo dimostrano anche i dati relativi al numero di persone ancora vive dopo cinque anni dalla diagnosi, in media il 91%. Si tratta di una percentuale tra le più alte in caso di tumore, soprattutto se si tiene conto dell’avanzata età media dei pazienti e quindi delle altre possibili cause di morte.

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Il tumore alla prostata resistente alla castrazione non metastatico

Nei restanti casi esiste un maggior rischio che il tumore possa progredire e diffondersi in altri organi. Tra questi, il tumore alla prostata resistente alla castrazione non metastatico, che non risponde più ai trattamenti che riducono il testosterone, senza che siano rilevabili metastasi mediante scintigrafia ossea. Il 90% dei pazienti con questo tipo di tumore però in futuro svilupperà metastasi, che possono portare a dolore, fratture e altri sintomi. È fondamentale quindi ritardare lo sviluppo di metastasi in questi pazienti. Fino a poco tempo fa non vi erano armi per i pazienti affetti da questo tumore, ma le opzioni terapeutiche per i pazienti sono in rapida evoluzione.

Apalutamide 

Apalutamide, che si assume per via orale, agisce come inibitore del recettore degli androgeni. Ciò, oltre a prevenire il legame degli androgeni al recettore, impedisce che il recettore stesso entri nel nucleo delle cellule tumorali e si leghi al Dna, bloccandone così la trascrizione. Tutto ciò “blocca” il tumore alla prostata ritardando le metastasi. Apalutamide è una terapia approvata poche settimane fa dall’European Medicines Agency (EMA) per il trattamento dei pazienti che sono anche resistenti alla terapia ormonale classica, in una fase ancora più precoce della malattia, ossia nei pazienti senza metastasi ma con un elevato rischio di svilupparle.

Al congresso dell’American Society of Clinical Oncology (ASCO) sono stati presentati i risultati finali dello studio SPARTAN su apalutamide. Questo, in combinazione con la terapia di deprivazione androgenica, prolunga la sopravvivenza di 14 mesi e riduce il rischio di morte del 22%. Inoltre, lo studio SPARTAN ha raggiunto anche tutti gli obiettivi secondari ed esplorativi. Tra questi il tempo di comparsa delle metastasi, la sopravvivenza libera da progressione e il tempo di progressione sintomatica. Ma anche il tempo di inizio della chemioterapia citotossica, la sopravvivenza libera da progressione secondaria e la risposta del PSA.

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