Se in futuro il rischio è la carenza di medici, l’emergenza attuale del sistema sanitario italiano riguarda gli infermieri. Con 5,5 unità ogni 1000 abitanti siamo, infatti, nettamente sotto la media dei 36 Paesi aderenti all’Ocse (8,9). Secondo il Rapporto Osservasalute 2018, tra il 2013 e il 2016 gli infermieri nostrani si sono ridotti del -2,4%, da 271.043 a 264.646, e, stando agli ultimi dati, sono calati di oltre 7000 unità in soli cinque anni.

In Italia abbiamo 1 infermiere per circa 15 pazienti

«Il rapporto ideale tra infermieri e pazienti in un reparto d’ospedale è attorno a 1 infermiere per 6-7 pazienti, mentre in alcune aree del nostro Paese si arriva anche a 1 a 15», conferma Duilio Manara, professore associato d’infermieristica all’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. «Più aumenta tale rapporto e più peggiora l’assistenza del malato, con un impatto anche sulle complicanze della malattia e sulla mortalità».

Il problema delle “cure mancate” è più che mai attuale

È il problema, per dirla all’inglese, delle «missed care», cioè delle cure mancate, ovvero qualsiasi intervento infermieristico necessario al paziente ma omesso completamente, parzialmente o rimandato a causa della mancanza di infermieri. «In questi casi, per problemi organizzativi o temporali», prosegue l’esperto, «il primo servizio omesso è la cura dell’igiene e, a seguire, viene l’educazione del paziente».

L’infermiere cura la persona malata

Per definire il compito dell’infermiere Manara prende a prestito l’aforisma di una sua collega statunitense degli anni 30: «Il medico cura la malattia della persona, l’infermiere cura la persona malata. Noi curiamo i problemi che la malattia crea nelle abitudini quotidiane della persona, nella sua capacità di self-care. Chi, per esempio, spiega ai malati cronici le terapie e i loro effetti collaterali? Noi infermieri. Chi insegna come cambia la dieta a un diabetico o una persona che soffre di scompenso cardiaco? Sempre noi».

L’infermiere è un professionista della salute dal 1999

L’infermiere è, infatti, da vent’anni un professionista della salute, non più un semplice esecutore delle indicazioni del medico. A stabilirlo è stata la legge 42 del 1999. «Quando sono diventato infermiere io, nel 1984», racconta il docente del San Raffaele, «non serviva il diploma di maturità. Era sufficiente frequentare per tre anni una delle apposite scuole gestite dalle Regioni. Poi è arrivato l’obbligo della maturità e la scuola è diventata prima un diploma universitario (1992) e, quindi, un corso di laurea triennale (2001)».

L’infermiere si specializza sempre di più

Non solo. Dopo quest’ultimo diversi atenei danno la possibilità di frequentare la laurea magistrale e il dottorato di ricerca o master di specializzazione. Per esempio, da questo mese di gennaio alla Vita-Salute San Raffaele, oltre a quello in management sanitario, sono aperti i bandi in dermatologia clinica e in wound care (la cura delle lesioni cutanee), due settori in cui, sottolinea Manara, «gli infermieri stanno diventando, ovviamente sempre affiancati al medico, gli specialisti di riferimento.

La figura dell’infermiere è cambiata

Insomma, negli ultimi vent’anni è cambiato il mondo infermieristico, ma ancora oggi spesso i pazienti non conoscono quella che è la nuova figura dell’infermiere. Da sempre curiamo gli ammalati, ma adesso lo facciamo da un punto di vista professionale, cioè con solide basi e metodi scientifici, cercando di non perdere in nulla della sensibilità e vicinanza alla sofferenza che ci caratterizza da sempre. Siamo una professione giovane, ma stiamo recuperando velocemente il gap con i Paesi più avanzati in materia».

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