Il 2020 si chiude con una svolta storica per l’Argentina: aborto libero e sicuro. Il Senato ha approvato la legge sull’interruzione della gravidanza con 38 voti a favore e 29 contro. Si colloca così tra i pochi paesi sudamericani in cui l’aborto è legale. Dopo aver ottenuto il consenso del disegno di legge di riforma dalla Camera dei deputati, la votazione sul provvedimento è avvenuta dopo un dibattito durato oltre 12 ore durante il quale alcuni senatori titubanti hanno deciso di appoggiare la proposta del governo.

Al termine della seduta del Senato, il pannello elettronico ha mostrato alle 4,12 (le 8,12 italiane) il risultato positivo che ha mandato in visibilio le migliaia di sostenitori della Campagna per il diritto all’aborto legale, sicuro e gratuito, in attesa con i tradizionali ‘pañuelos verdes’ (fazzoletti verdi) sulla piazza all’esterno del Parlamento.

L’annuncio ufficiale (“Il progetto è approvato!”), formulato dalla presidente del Senato Cristina Fernández de Kirchner, ha messo fine ad uno sforzo di legalizzazione dell’interruzione della gravidanza cominciato in Argentina 15 anni fa.

Il provvedimento permette l’aborto fino alla 14/a settimana di gestazione, e prevede per i medici la possibilità di avvalersi dello strumento dell’obiezione di coscienza. Fino ad oggi solo l’Uruguay, Cuba, la Guyana e Città del Messico (ma non l’intera Nazione), disponevano in America latina di una legge su questa materia.

Viene così sepolta la contestata norma in vigore sin dal 1921 che lo giudicava come un delitto, con due eccezioni: la violenza sessuale e il rischio di vita per la madre. La notizia, incerta e attesa con ansia, è accolta da un boato di grida, canti, balli, slogan e una marea di ‘pañuelos verdes’ agitati da migliaia di donne, e di uomini, che da oltre 24 ore sostavano nella parte nord della piazza che si affaccia davanti al Parlamento

“L’abbiamo conquistata. È legge!”, urlano, raggianti, queste giovani e meno giovani donne che per nove volte hanno inseguito un sogno ogni volta infranto. Era accaduto anche nel 2018 quando su iniziativa di alcune deputate e con l’assenso neutrale dell’allora presidente Mauricio Macri un progetto di riforma era stato presentato e approvato alla Camera dei Deputati; le speranze subito accese nel Paese si erano poi spente con il voto decisivo del Senato che lo aveva bocciato.

La dimostrazione di quanto ancora fosse diffuso in Argentina il rifiuto di uno dei più discussi e sentiti diritti civili.
Pioniere di tante atre battaglie e di principi di civiltà raggiunti come il matrimonio gay e il riconoscimento di genere, il grande Paese sudamericano faticava a riconoscere legalmente l’aborto.

Lo considerava un vero tabù che nemmeno Cristina Kirchner, donna e presidente di idee progressiste, era riuscito a infrangere. Solo la figlia Florence, attivista femminile, l’aveva convinta negli ultimi mesi. Restavano, dominanti, il peso del fronte conservatore e le influenze della Chiesa contrari a una liberalizzazione, nonostante la presenza a Roma di un Papa argentino che in questi anni ha dimostrato più volte le sue aperture sui grandi temi dei diritti sociali e civili.

Il provvedimento approvato prevede che ogni gestante possa abortire entro le prime 14 settimane dopo aver sottoscritto il consenso. Indica anche dieci giorni di tempo tra la volontà esplicitamente espressa e l’intervento per evitare ogni tipo di pressione e manovra che spinga la madre a un ripensamento.

Non si tratta di restrizioni della libertà. Si vogliono evitare quegli odiosi ricatti e sensi di colpa che rendono atroce una scelta già dolorosa e difficile. La vittoria del sì è stata lunga e contrastata. La chiesa argentina, quella di Papa Francesco, ha ancora un largo seguito. Lavora assieme allo Stato nell’assistenza ai più poveri, con centinaia di mense che ogni giorno sfamavo chi non ha neanche più da mangiare.

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