Quella di Cesare Bocci è una storia toccante. «Il primo aprile del 2000 la mia compagna ebbe un ictus mentre allattava la piccola Mia» ha raccontato l’attore a Ok Salute e Benessere. «Uno tsunami che ha sconvolto la vita familiare, ma a poco a poco abbiamo recuperato gli equilibri»

Il racconto di Cesare Bocci

Immagina di giocare con le onde in riva al mare. E, mentre sei di spalle, all’improvviso un’onda gigante ti travolge e ti risucchia in un mulinello d’acqua. Così mi sono sentito il primo aprile di vent’anni fa, quando Daniela, la mia compagna, ha avuto un ictus mentre stava allattando la piccola Mia, a una settimana dal parto. Mi sono sentito affogare, sbattuto tra due scogli. Da una parte una mamma in coma, dall’altra una neonata da accudire.

La compagna non ricordava

I primi tempi sono stati durissimi. Daniela, ricoverata due mesi in neurologia e altri tre in un centro di riabilitazione, soffriva di amnesia. «Ciao amore!», le dissi un giorno entrando nella sua stanza. «Ciao, Luigi», mi rispose sorridendomi. Se le mostravo la foto di Mia in fasce, commentava biascicando: «Che bella bambina… ma chi è?». Nessun medico scommetteva sulla possibilità che avrebbe ripreso a camminare. E in effetti, tornata a casa, dovette stare a lungo sulla sedia a rotelle. Parlava poco e male, comunicavamo con gli sguardi. Sentivo di avere una grande responsabilità nei confronti di mia figlia, non volevo farle mancare niente.

L’arrivo della tata

All’inizio rifiutavo l’idea di dover prendere una tata per allevarla. Da bravo attore, cercavo di recitare due ruoli, quello di papà e mamma insieme, con l’aiuto delle due zie (mia sorella e quella di Daniela) che i primi mesi si stabilirono a casa nostra per darmi una mano. Poi, però, mi sono arreso all’idea di dover prendere un’«intrusa» per tirar su Mia. Abbiamo trovato una tata bravissima. Oggi nostra figlia si è trasformata nell’aiutante di Daniela, che ha ripreso da anni a camminare ma ha ancora problemi di equilibrio. Se sta a lungo in piedi deve appoggiarsi a qualcuno (la tengo spesso a braccetto) e va in tilt se deve muoversi in un ambiente affollato, voltare a destra o sinistra, fare una discesa o una salita.

Daniela è tornata

Quanto al recupero del linguaggio, dopo una lunga fase di afasia in cui non trovava le parole, ha ripreso ad articolare bene le frasi, pur con qualche residua difficoltà. Però sta bene, la sua forza di volontà e l’amore della famiglia l’hanno aiutata a recuperare. Durante il lockdown ogni mattina ci siamo mantenuti in allenamento facendo esercizi con pesetti da tre chili a suon di musica caraibica. Sarebbe bello se potesse un giorno tornare a suonare il sassofono come prima.

Cesare Bocci e l’errore del “mammo”

Questo tsunami inaspettato, che ha rischiato di trascinarmi verso il fondo, mi ha dato molto. Mi ha reso più sensibile al tema della solidarietà. Ne abbiamo ricevuta tanta e abbiamo tentato di restituirla cercando di aiutare gli altri. L’aver fatto il «mammo» mi ha spinto ad abbracciare la causa dei bambini in difficoltà. Raccolgo fondi per Save the Children e ho stretto un legame speciale con i ragazzi disabili di Anffas Onlus. Ho agito con il cuore, ma penso di aver commesso degli errori quando Mia era piccola. Poiché Daniela non riusciva a tenerla bene in braccio, a darle il latte o a leggere le favole, con un atteggiamento iperprotettivo la esoneravo dal suo ruolo di mamma. Così Mia cresceva senza quel profondo contatto materno di cui i bambini hanno bisogno come l’aria. A due anni piangeva se Daniela cercava di avvicinarla, non la riconosceva come sua mamma.

Il colloquio con lo psichiatra

Allora, parlammo con uno psichiatra che ci rassicurò sul fatto che la piccola avesse una reazione sana nei confronti della madre che non conosceva. Perché esautorata dai suoi compiti solo in quanto fisicamente impossibilitata a svolgerli alla perfezione. Mi consigliò di fare un passo indietro, come padre factotum e onnipresente, e di far fare due passi avanti a Daniela, che doveva riappropriarsi del suo ruolo di mamma. Così, quando Mia di notte si svegliava e chiamava papà, imparai ad aiutare Daniela ad alzarsi dal letto per andare in cameretta a tranquillizzarla.

Non bisogna sostituirsi

Anche per questo collaboro con l’Anffas: perché le persone che accudiscono i figli, i mariti o le mogli disabili non devono essere lasciati soli. Soprattutto, non devono cercare di sostituirsi a loro. Come ho fatto io per un certo periodo tentando di mettere le pezze ovunque. Ogni disabile dev’essere libero di agire ed esprimersi come meglio può. Con i suoi limiti, i suoi movimenti vacillanti e il suo linguaggio un po’ confuso, ma pieno di sentimento. E animato dalle migliori intenzioni.

Mia e la figura materna

Oggi Mia è una ragazza molto sensibile, cresciuta bene, nonostante tutto. Penso che prima o poi dovrà lavorare sulla figura materna. Fare i conti con la sua infanzia segnata da una mamma forzatamente assente. Dovrà elaborare tutte le piccole, grandi mancanze, i limiti e le rinunce. Forse lo sta già facendo, nei suoi sfolgoranti vent’anni di aspirante designer.

Cesare Bocci

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